La fermentazione dei cibi: tutto quello che c’è da sapere

Cosa hanno in comune alimenti tanto differenti come vino, pane, formaggio, crauti, yogurt, salsa di soia, giardiniera, riso rosso? Alcuni esotici, altri classici e tradizionali, alcuni liquidi, altri in forma solita o pastosa, alcuni grassi e altri magri: sembra che non ci sia proprio nulla che li accumuni. Invece si tratta di alimenti fermentati, ovvero che hanno subito una serie di processi chimici che hanno parzialmente demolito la sostanza organica di cui sono composti, “smontandola” in elementi più semplici. E spesso con grandi benefici, per chi li consuma: si pensi ad esempio al riso rosso fermentato che, grazie all’alta concentrazione di monocolina K, rappresenta un cosiddetto superfood contro il colesterolo. 

Come funziona la fermentazione?

La fermentazione non è un unico passaggio, non si risolve in un immediato cambiamento di stato: si tratta di più processi, ad opera di enzimi specifici, che agiscono su un composto per scomporlo in elementi più semplici. La fermentazione è opera di microrganismi viventi che si servono di questo processo per trarre da esso l’energia necessaria al proprio accrescimento e alla propria moltiplicazione; ma, d’altro canto, la fermentazione rende il prodotto di gran lunga più digeribile e facilmente assimilabile per l’uomo, tanto che tali processi vengono utilizzati nelle tecnologie alimentari e in particolare per la produzione di bevande alcoliche – come vino e birra – e per la maturazione dei formaggi, nonché per la lievitazione di pane e prodotti da forno. La fermentazione è una tecnica usata anche al di fuori del settore alimentare, nell’industria chimica (per la preparazione dell’acido lattico, ad esempio) e, soprattutto, nell’industria farmaceutica (è un passaggio necessario nella preparazione di molti antibiotici).

Le origini della fermentazione

Le origini della fermentazione costituiscono un argomento controverso, su cui si innestano opinioni e posizioni contrastanti. Varie ricerche sono state condotte in tal senso, ma – come succede spesso per fatti e tradizioni che risalgono a luoghi estremamente lontani nel tempo – non esiste una risposta univoca, né una che rappresenti la verità assoluta. Sicuramente, alle radici di questa pratica, c’è la cultura della conservazione, ovvero la necessità degli uomini di non affidarsi più esclusivamente a scorte di cibo giornaliere, in base a uno stile di vita che richiedeva giornalmente nuovi sforzi per nutrirsi, bensì di accumulare le scorte in eccesso, per usufruirne nel momento in cui scarseggiano. La fermentazione si propone quindi nella storia umana come tecnica per mantenere, preservare, conservare, e poi anche trasportare e scambiare i prodotti della terra, perché permetteva di allungare la vita di un alimento rallentandone o arrestandone del tutto i processi vitali. La fermentazione, inoltre, permetteva di conservare il cibo mantenendone intatte le proprietà nutritive, caratteristica che non era assicurata da altri metodi di conservazione. 

Trasformare per consumare

D’altra parte, la conservazione degli alimenti non è l’unica ragione d’esistenza della fermentazione. Molto presto, forse anche prima dell’abitudine di conservare, l’uomo si è accorto che molti frutti della terra non erano commestibili così come si trovano in natura: egli si accorge quindi della necessità di trasformare la materia prima per renderla tollerabile all’apparato digerente umano. La fermentazione riduce la materia prima in forme digeribili; un processo – per alcuni versi – molto simile a quello della cottura: una vera rivoluzione.

L’esempio più semplice, in questo caso, è quello del pane: nel momento in cui la società umana si trasforma da gruppi di cacciatori e raccoglitori in vere e proprie popolazioni stanziali, che non solo raccolgono, ma piantano e coltivano ciò di cui hanno bisogno per nutrirsi, l’uomo deve trovare un modo per rendere il cereale un alimento digeribile e nutriente. Il pane nasce come prodotto della cottura e della fermentazione (che in questo caso si chiama lievitazione) dei cereali con cui è fatto.

Benefici della fermentazione

C’è un motivo se la tecnica della fermentazione è così diffusa in estremo oriente. La ricchezza di alimenti fermentati nei mercati orientali è testimoniata dai tanti prodotti derivati dalla soia fermentata: il miso, una pasta bruna e sapida usata per la preparazione di zuppe e minestre; il tempeh, prodotto a base di fagioli fermentati e pressati, a formare un panetto dalla consistenza carnosa; il natto, che produce una pasta filamentosa intorno ai fagioli di soia fermentati. Questi cibi, e in misura variabile gli altri fermentati, sono sottoposti al lavoro di batteri e muffe utili al sistema digestivo per equilibrare il funzionamento della flora batterica intestinale; nel processo di scomposizione chimica, inoltre, la fermentazione libera la produzione di acido lattico, vitamine, omega 3 e probiotici, di estrema importanza per il sostentamento delle funzioni vitali del nostro organismo.

Fermentazione: un bene prezioso

Per via dei benefici che apporta all’alimentazione, così come per la lunga storia e le radici che affondano nel passato di culture anche molto distanti, la fermentazione è stata riconosciuta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità: si tratta infatti di una tradizione alimentare connaturata nelle tradizioni culinarie e gastronomiche di varie culture – quella giapponese, quella mediterranea, quella messicana e antica americana, quella indiana e quella dei vari popoli nordici – che, oltre la propria unicità, trovano nella fermentazione un vero e proprio punto di contatto.

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